IL VOTO EUROPEO CI CONSEGNA UN’ITALIA PIÙ “LIQUIDA”

Di Michele Tripodi

Mai prima d’ora libere elezioni nell’Italia Repubblicana avevano determinato un’avanzata prorompente di forze di destra estrema.
Le elezioni europee del maggio 2019 sanciscono un primato davvero terribile per un Paese che sulla carta si fonda (non si sa ancora per quanto) sui valori della Costituzione.

La Lega supera il 34%, il Partito Democratico apparentemente tiene botta ma perde voti in valore assoluto e ciò nonostante il voto di preferenza che invece fa dimezzare, come in ogni altra elezione diversa dalle politiche, i voti del Movimento Cinquestelle attestato ad un modesto 17%.

Più a sinistra poi, de profundis, si rischia una pericolosa estinzione. 
Forza Italia e il partito della Meloni superano lo sbarramento e piazzano percentuali importanti che sommate all’exploit della Lega fanno sfiorare il 50% alle forze di destra.
Ben al di sopra delle percentuali che complessivamente il Pd (41%) e “Altra Europa” (4%) raggiunsero nel 2014 dopo la promessa delle 80 euro di Renzi rifilata qualche mese prima delle elezioni europee.
Un consenso dunque che in meno di un lustro si è praticamente capovolto o diluito nell’astensionismo di tornata.
Vero è che in cinque anni tanta acqua è passata sotto i ponti, sono cambiati i governi e gli uomini, ma il capovolgimento è dettato dai nuovi tempi della società, sempre più “liquida” nella quale viviamo e dove purtroppo il voto ideologico o ancorato ad un sistema valoriale preciso tende a scomparire. Quell’approccio, validamente disegnato dalle istituzioni repubblicane, è sostituito da altre variabili che fanno spostare le opinioni delle persone, orientando pericolosamente e con estrema facilità i pensieri free lance e gli istinti più primitivi.
È cambiata la comunicazione, il modo cioè con cui le persone vengono raggiunte da un vettore, da uno spot o da una campagna elettorale.
È cambiato il modo di relazionarsi tra le persone, veicolato e velocizzato dalle piattaforme social dove spesso si liberano le parole non dette, andando oltre il subconscio di ognuno.
È cambiato il punto di osservazione dei soggetti chiamati a fornire la rappresentanza politica, i partiti tradizionali praticamente che, a parte qualche eccezione, non riescono più a fare da filtro con la società civile ed i gruppi sociali organizzati.
L’individuo conta non in quanto inserito in un gruppo, ma conta per sé, sebbene sia dentro un preciso gruppo sociale.
La politica dunque è anche essa “liquida” come qualcuno ha già osservato. Speculare al tipo di società cognitiva della quale siamo parte, volenti o nolenti.
La Lega sfonda non perché il suo messaggio politico sia più giusto, 49 milioni di euro da restituire, Salvini indagato, Siri cacciato, suoi sindaci ed amministratori locali arrestati di recente per mazzette, discussione sul regionalismo differenziato per tre regioni che penalizza tutte le altre. 
Non sarebbe in teoria un buon momento per la Lega.
Ma a differenza di tutti gli altri la Lega è più calata nella parte, interpretando al meglio la “liquefazione” irreversibile delle opinioni politiche, dei comportamenti, degli umori e dei sentimenti delle persone.
Il popolo italiano non è né leghista né fascista, il punto é che sino a quando tutti gli altri movimenti politici non accetteranno il nuovo sistema relazionale e cognitivo nel quale viviamo, corriamo il rischio che la suggestione si trasformi in realtà.
La Lega ha il miglior apparato di comunicazione e può contare al Nord (e menomale soltanto li) sulla migliore organizzazione territoriale. Un mix devastante per l’accaparramento ed il consolidamento dei consensi.
Di contro, il movimento cinque stelle non riesce a pareggiare la Lega per un motivo semplice. 
Non esiste sui territori.
Eppure il Movimento di Grillo aveva capito, forse ancora prima di Salvini, che questo tipo di società, richiede metodi ed organismi diversi per la strutturazione del consenso. È bastato un anno di governo insieme per far salire in cattedra l’alleato leghista che oggi doppia il cinque stelle avviandolo verso il dilemma del far cadere o meno il governo.
A sinistra invece, che si fa? Ancora si litiga sui decimali senza comprendere la fase liquida.
Non certo in futuro si potranno rimestare cartelli elettorali ormai rivelatisi fallimentari, nemmeno inseguire falsi miti o ideologizzare oltremodo alcuni temi come, solo per fare un esempio a scanso di equivoci, le politiche sui migranti, completamente distaccate dal territorio e avulse dai bisogni correnti dei ceti popolari. 
Occorre reinventarsi il linguaggio. “Sborghesire” le classi dirigenti ormai autoreferenziali, parlare al popolo con semplicità e chiarezza. Pensare ad organizzazioni più snelle e partecipative, tali da rendere protagonista ogni singola persona, sfruttando la potenza del digitale e creando al contempo punti di contatto e reti umane nella società reale. Ripartire dai territori.
In Francia il movimento “France Insoumise” realizza un’organizzazione addirittura scegliendo una parte dei dirigenti attraverso un sorteggio fra gli aderenti!
Perché in Italia non si possono sperimentare forme e idee nuove per un autentico coinvolgimento popolare? 
Il nostro tentativo è quello di mettere in campo nuovi metodi e nuovi tipi, che rompano lo schema della politica tradizionale e siano in grado di interpretare la fase “liquida”. 
Ecco il perché della piattaforma Berlinguer e dell’associazione che la governa: Generazione.com.
E non chiamiamola nuova sinistra. Sarà molto di più che una parola!

È proprio questo deficit “politico” che sta determinando una dimensione della politica europea sempre più schiacciata sulla dimensione finanziaria e monetaria. È una incapacità a rappresentare gli interessi di un mondo del lavoro europeo attraverso un salto di qualità della contrattazione, delle nuove tipologie del lavoro, dei suoi interessi generali, inseguendo le logiche di “dumping sociale” nella speranza di accaparrarsi il residuo lavoro umano che il ciclo economico capitalistico sta prefigurando. Pensate a cosa sarebbero state queste elezioni europee con un confronto politico vero sulla natura storico-politica dell’Europa del secondo dopoguerra e sulla centralità nuova del mondo del lavoro per il futuro politico del Vecchio continente.

È per questo che la prossima scadenza elettorale europea risulta monca, afona, incapace di indicare terreni politici sui quali avanzare proposte strategiche. Per questo molti ex elettori della sinistra, a queste elezioni ancor più che nelle precedenti, guarderanno oltre i vecchi confini partitici o resteranno a casa. Non sono sufficienti nuove grafiche elettorali e le solite liste di nomi, in assenza di una nuova teoria politica della fase e una capacità strategica di guardare alle dinamiche politiche. E questo vale sia per la “lista aperta” del PD sia per le varie articolazioni alla sua sinistra. Pensate alla lontananza tra le parole (e i fatti) delle varie forze della sinistra in Europa e il movimento dei giovani che chiedono un nuovo modello di sviluppo, che rompe con lo sviluppismo, in nome della salvezza del pianeta. Pensateci un momento e capirete che lo schema che ci ha accompagnato, tutti, nel ‘900 non è più in grado di farci fare un passo in avanti. Che i gruppi di candidati delle varie liste non rappresentano più un gruppo dirigente perché non sanno indicare una strada se non quella del “votatemi”.

Ci saranno forze politiche che sapranno riprendere le radici profonde e rinvigorirle fino a far gettare nuovi getti ad una pianta europea che sembra rinsecchirsi sempre più?

Posted: 27 Mag 19 By: Category: Comunicato Letto 724 volte

Redazione

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